Fuori c’era un bel cortile poi le grandi scale e c’era il vento e gli alberi di mele.
Si fece notte e un uomo della mia statura e della mia presenza mi conduceva in un’insenatura che a un certo punto diventava la mia stanza.
Lì c’era tutta la mia vita che per la prima volta mi si rivelava e c’era un grande specchio che indifferente mi duplicava.
L’uomo della mia statura e della mia presenza forse troppo familiare forse troppo somigliante mi stava accanto e non faceva niente.
Mi giunse la sua voce che assomigliava un po’ alla mia ormai era più ingrata e senza sfumature con certe fastidiose intonazioni che sento a volte nelle mie registrazioni.
Ma più che altro mi spaventò il suo volto tremendamente uguale al mio non ebbi più alcun dubbio quell’uomo ero senz’altro io.
E allora io mi vidi così brutto e scoperto che fui preso dal terrore e mi scoppiava il cuore come fosse un infarto.
E lui rideva e poi sputava l’aria con una calcolata cattiveria, e quella smorfia era la mia copia speculare così imbruttita e repellente da fare orrore.
Odio il tuo viso che è la mia caricatura odio la tua voce che è la mia scimmiottatura odio l’arroganza della tua idiozia odio la tua stupida parola che è la mia.
Ma lui restava immobile a guardare poi prese a parlare esageratamente adagio mi disse che era logico e normale che in quella notte di casuale sortilegio aveva avuto il privilegio di conoscere il male.